Corte Costituzionale – Illegittimo il criterio di determinazione dell’indennità di licenziamento in tutele crescenti

È stata pubblicata la sentenza della Corte Costituzionale n. 194 del 26 settembre 2018 con cui la Consulta dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 3, comma 1, del Decreto Legislativo 4 marzo 2015, n. 23 (Disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183) – sia nel testo originario sia nel testo modificato dall’art. 3, comma 1, del decreto-legge 12 luglio 2018, n. 87 (Disposizioni urgenti per la dignità dei lavoratori e delle imprese), convertito, con modificazioni, nella legge 9 agosto 2018, n. 96 – limitatamente alle parole “di importo pari a due mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio,”;

Pertanto, la previsione di un’indennità crescente in ragione della sola anzianità di servizio del lavoratore è, secondo la Corte, contraria ai principi di ragionevolezza e di uguaglianza e contrasta con il diritto e la tutela del lavoro sanciti dagli articoli 4 e 35 della Costituzione.

Più specificatamente la Corte Costituzionale precisa che “sulla base di quanto argomentato, si deve dunque concludere che il denunciato art. 3, comma 1, del d.lgs. n. 23 del 2015, nella parte in cui determina l’indennità in un importo pari a due mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio”, non realizza un equilibrato componimento degli interessi in gioco: la libertà di organizzazione dell’impresa da un lato e la tutela del lavoratore ingiustamente licenziato dall’altro. Con il prevedere una tutela economica che può non costituire un adeguato ristoro del danno prodotto, nei vari casi, dal licenziamento, né un’adeguata dissuasione del datore di lavoro dal licenziare ingiustamente, la disposizione censurata comprime l’interesse del lavoratore in misura eccessiva, al punto da risultare incompatibile con il principio di ragionevolezza. Il legislatore finisce così per tradire la finalità primaria della tutela risarcitoria, che consiste nel prevedere una compensazione adeguata del pregiudizio subito dal lavoratore ingiustamente licenziato.”

Le conseguenze pratiche di tale pronuncia sono estremamente importanti: nei casi in cui risulta accertato che non ricorrono gli estremi del licenziamento per giustificato motivo oggettivo o per giustificato motivo soggettivo o giusta causa, fermo restando che non vi è il reintegro del lavoratore (a meno che il licenziamento non sia nullo o discriminatorio o il fatto materiale contestato nel licenziamento disciplinare sia insussistente), viene ora rimessa alla discrezionalità del Giudice la quantificazione dell’indennità risarcitoria non assoggettata a contribuzione previdenziale, tra un minimo di sei e un massimo di trentasei mensilità (nelle aziende con più di 15 dipendenti).

LICENZIAMENTO ILLEGITTIMO LAVORATORI ASSUNTI A TEMPO INDETERMINATO DAL 7 MARZO 2015 (AZIENDE CHE SUPERANO I 15 DIPENDENTI)

D. Lgs. n. 23/2015 – art. 3, comma 1

“Salvo che nelle ipotesi di licenziamento per giustificato motivo soggettivo o per giusta causa in cui sia direttamente dimostrata in giudizio l’insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore, nei casi in cui risulta accertato che non ricorrono gli estremi del licenziamento per giustificato motivo oggettivo o per giustificato motivo soggettivo o giusta causa, il giudice dichiara estinto il rapporto di lavoro alla data del licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di un’indennita’ non assoggettata a contribuzione previdenziale (di importo pari a due mensilita’ dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio,) in misura comunque non inferiore a sei e non superiore a trentasei mensilità”.

Sentenza Corte Costituzionale