PROGRESSIVO “SMANTELLAMENTO” DEL LICENZIAMENTO IN TUTELE CRESCENTI

PROGRESSIVO “SMANTELLAMENTO” DEL LICENZIAMENTO IN TUTELE CRESCENTI

Il licenziamento in Tutele Crescenti (D. Lgs. n.23/2015), che come sappiamo riguarda i licenziamenti illegittimi intimati agli assunti a tempo indeterminato dal 7 marzo 2015, è stato originariamente improntato su un risarcimento economico certo (per ridurre la discrezionalità dei Giudici e dare certezze alle Aziende) e su ipotesi residuali di reintegro. 

Tale nuova disciplina ha subito tuttavia una progressiva demolizione ad opera del Legislatore prima e dei Giudici poi:

1) la Legge n. 96 del 9 agosto 2018 (c.d. Decreto Dignità) ha stabilito che in caso di licenziamento illegittimo (dove non ricorrono le ipotesi previste per il reintegro), nelle aziende con più di 15 dipendenti, il risarcimento pari a due mensilita’ dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio, deve essere in misura comunque non inferiore a sei (prima era quattro) e non superiore a trentasei mensilità (prima era ventiquattro);

2) la Sentenza della Corte Costituzionale n. 194 del 26 settembre 2018, dove secondo la Consulta la previsione di un’indennità crescente in ragione della sola anzianità di servizio del lavoratore è contraria ai principi di ragionevolezza e di uguaglianza e contrasta con il diritto e la tutela del lavoro sanciti dagli articoli 4 e 35 della Costituzione. In conseguenza di tale pronuncia, nei casi in cui risulta accertato che non ricorrono gli estremi del licenziamento per giustificato motivo oggettivo o per giustificato motivo soggettivo o giusta causa, fermo restando che non vi è il reintegro del lavoratore (a meno che il licenziamento non sia nullo o discriminatorio o il fatto materiale contestato nel licenziamento disciplinare sia insussistente), viene ora rimessa alla discrezionalità del Giudice la quantificazione dell’indennità risarcitoria non assoggettata a contribuzione previdenziale, tra un minimo di sei e un massimo di trentasei mensilità (nelle aziende con più di 15 dipendenti).

Sentenza Cassazione n. 12174/19

Un’ulteriore opera di smantellamento del licenziamento in Tutele Crescenti avviene ora con la Sentenza n. 12174 del 8 maggio 2019 dove la Cassazione si è pronunciata per la prima volta sulla problematica relativa al significato del “fatto materiale contestato”.

Il legislatore del Jobs Act ha previsto che il giudice dovrà disporre la reintegrazione “esclusivamente nelle ipotesi […] in cui sia direttamente dimostrata in giudizio l’insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore rispetto alla quale resta estranea ogni valutazione circa la sproporzione del licenziamento” (articolo 3, comma 2, D. Lgs. n 23/15).

Accogliendo il ricorso promosso dalla lavoratrice, la Corte ha precisato che “ai fini della pronuncia di cui all’articolo 3, comma 2, del Dlgs 23 del 2015, l’insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore […] comprende non soltanto i casi in cui il fatto non si sia verificato nella sua materialità, ma anche tutte le ipotesi in cui il fatto, materialmente accaduto, non abbia rilievo disciplinare”.

In sostanza vi è l’equiparazione, in termini di conseguenze sanzionatorie (ossia il reintegro):

– dell’ ”insussistenza del fatto contestato” e 

– del “fatto sussistente ma non disciplinarmente rilevante”.

La Cassazione reintroduce quindi una valutazione soggettiva (e dunque discrezionale da parte del Giudice) della rilevanza disciplinare del comportamento contestato.

Per un approfondimento si veda: